MicroRNA nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA)

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 17 ottobre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la forma più frequente di malattia del motoneurone che interessa tanto la cellula di moto superiore quanto quella inferiore nel sistema nervoso centrale, sta diventando una malattia di riscontro comune fra i neurologi, con un tasso di incidenza annuale che varia da 0,4 a 1,76 per 100.000 abitanti, e picchi di frequenza elevati per regioni o per particolari categorie di attività, non ancora scientificamente riportati a cause precise. In proposito, desidero notare che nell’ultima edizione dell’Adams and Victor’s Principles of Neurology si riporta specificamente l’elevata frequenza fra i calciatori professionisti italiani, come esempio di maggiore concentrazione in una categoria lavorativa[1], al quale si può avvicinare l’incostante riscontro di maggiore incidenza fra militari in diverse regioni geografiche[2].

Basterebbero anche solo questi dati epidemiologici, senza riferimenti alle particolarità neurobiologiche della malattia, per giustificare l’interesse col quale la nostra società scientifica segue da sempre gli sviluppi della ricerca in questo campo[3], ed ora vuole proporre all’attenzione dei visitatori del sito un’esaustiva rassegna di studi sul ruolo dei microRNA (miRNA) nella SLA, realizzata da Cinzia Volonté con Apolloni e Parisi dell’Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia del CNR di Roma.

Ricordo che, quando nel 2010 pubblicammo la recensione di un lavoro che aveva identificato nel microRNA-206 (miR-206) una molecola in grado di rallentare la progressione della SLA e promuovere la rigenerazione delle giunzioni neuromuscolari in modelli murini della malattia, ricevemmo numerose comunicazioni di ringraziamento ed apprezzamento da parte di molti che non avevano notizia di questa nuova direzione della ricerca[4]. Oggi, mentre mi appresto a scrivere di questa rassegna, ho ricevuto conferma che, a 5 anni di distanza, l’argomento non è ancora entrato nella maggior parte delle aule universitarie in cui si insegna la patologia della SLA, rimanendo confinato alle scrivanie prossime ai banchi di laboratorio.

Se l’inesorabile progressione clinica dell’atrofia muscolare che porta a morte nella maggioranza dei casi entro cinque anni dalla diagnosi è ben nota, l’eziologia non è conosciuta per il 90% dei casi, costituito dalle forme sporadiche, e, in generale, la patogenesi non è chiara, nonostante una considerevole mole di dati raccolti sulla fisiopatologia e le alterazioni molecolari e cellulari presenti negli ammalati e riprodotte dai modelli sperimentali. Proprio le evidenze emerse dagli studi sui modelli murini della malattia, suggeriscono un meccanismo patologico dipendente dalla cellula, con l’attivo contributo di elementi cellulari diversi dai neuroni, quali astrociti, microglia, fibrocellule muscolari e linfociti T, che in maniera diversa partecipano alle varie fasi del processo ad evoluzione neurodegenerativa. I miRNA sono considerati dei fini regolatori delle reti genetiche, e la scoperta della partecipazione alla biogenesi di miRNA delle proteine mutate nella SLA, TDP43 e FUS/TLS, ha fortemente indicato la possibilità di un’alterazione della regolazione da miRNA come meccanismo patogenetico di questa malattia.

Pertanto, una notevole quantità di energia e di impegno da parte di vari gruppi di ricerca in tutto il mondo è stata investita per la comprensione del ruolo di queste piccole molecole di acido ribonucleico [Volonté C., et al., Micro RNAs: newcomers into the ALS picture. CNS & Neurological Disorders - Drug Targets[5] 14 (12): 194-207, 2015].

La provenienza degli autori è la seguente: Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Roma (Italia).

La prima descrizione della sclerosi laterale amiotrofica si fa risalire a Charcot, che studiò con Joffroy gli aspetti patologici di quel quadro clinico mai descritto in precedenza, pubblicando un dettagliato resoconto nel 1869, e con Gombault, come risulta dalla pubblicazione del 1871. In una serie di letture accademiche, proposte fra il 1872 e il 1874, Charcot fornì un’esposizione accurata e completa di tutto quanto era stato osservato e trovato su quella grave forma di perdita progressiva della funzione muscolare. In Francia, la sindrome fu subito chiamata Malattia di Charcot, ma il neurologo e neuropatologo francese raccomandava la denominazione riassuntiva dei tre aspetti salienti e diacritici: sclerosi laterale amiotrofica. E con tale nome fu recepita dalla nosografia anglo-americana. In precedenza, nel 1858, Duchenne aveva descritto una paralisi labioglossolaringea, denominazione corretta da Wachsmuth nel 1864 in paralisi bulbare progressiva. Nel 1869 Charcot richiamò l’attenzione sull’origine nucleare della paralisi bulbare progressiva, e nel 1882 Déjérine la mise in rapporto con la Malattia di Charcot. La maggior parte degli autori attribuisce ad Aran e Duchenne le prime descrizioni di atrofia muscolare progressiva di origine spinale, ma questi casi clinici erano erroneamente attribuiti dai due neurologi ad una patologia primariamente muscolare[6]. Fu Cruveilhier a notare per primo l’assottigliamento delle radici motorie anteriori del midollo spinale nell’esame autoptico di questi pazienti e a ricondurre a patologia del midollo spinale la conseguente perdita di tono, trofismo e riflessi dei muscoli[7].

Questi cenni storici ci introducono alla realtà clinica secondo i criteri nosografici attuali, che si basano sul concetto di “malattia del motoneurone”. Tale definizione comprende un gruppo di disturbi degenerativi progressivi che interessano le cellule nervose motorie del midollo spinale, del tronco encefalico e della corteccia cerebrale, che si manifestano con debolezza muscolare, atrofia e segni di lesione piramidale in varia combinazione. Nel sistema nervoso centrale distinguiamo, in base ad un criterio anatomo-clinico, un motoneurone inferiore o spinale e un neurone motorio superiore collocato nei segmenti più craniali del nevrasse: la patologia può riguardare solo il neurone inferiore, come nel caso dell’atrofia motoria spinale (AMS), solo il neurone superiore, come nella paraplegia ereditaria spastica (PES), o entrambi, come nella SLA.

Anche se approssimativamente il 90% dei casi di malattia del motoneurone è sporadico, ovvero non legato ad eredità familiare, la massima parte della ricerca sulle cause si è concentrata sulle forme familiari di SLA e AMS, identificando mutazioni causali in geni specifici. Nelle forme autosomiche dominanti di SLA familiare, le proteine mutanti acquisiscono spesso proprietà tossiche, che direttamente o indirettamente interessano le funzioni del motoneurone, mentre nelle forme di AMS, che sono autosomiche recessive, in genere manca la proteina funzionale codificata dal gene mutante. Di seguito, si riportano alcune nozioni essenziali emerse dalla ricerca sulle forme ereditarie di SLA, indicate in inglese con l’acronimo invertito ALS (amyotrophic lateral sclerosis)[8].

Nel 5-10% dei casi di SLA familiare (fALS) ad eredità autosomica dominante (ALS1) si verificano mutazioni nel gene della metalloproteasi rame/zinco superossido dismutasi 1 (SOD1)[9]. Nella ALS2 delezioni autosomiche recessive sono state identificate nel gene ALS2, che codifica l’Alsina, una proteina che regola le GTPasi. Mutazioni in Dynactin p150glued sono state associate a casi ad eredità autosomica dominante di malattia del motoneurone e possono, come varianti alleliche, agire da fattori di rischio per la SLA. Nella ALS4, una rara forma giovanile autosomica dominante, sono state descritte mutazioni nel gene SETX che codifica la senataxina, che contiene un dominio DNA/RNA elicasi con omologie con altre proteine note per ruoli nell’elaborazione dell’RNA. Sono state associate alla SLA anche VAPB, OPTN, VCP e due geni implicati nel metabolismo dell’RNA: TDP43 e FUS. Individui omozigoti per particolari aplotipi del promotore del VEGF presentano un accresciuto rischio di SLA[10].

Tornando alla rassegna qui recensita, gli autori indicano a proposito dell’eziopatogenesi - come abbiamo già accennato in precedenza - l’emergere da studi su modelli animali di prove indicanti un meccanismo non autonomo dalla cellula, sviluppato nelle varie fasi della malattia con l’attivo contributo di elementi non neuronici, quali cellule astrocitarie e microgliali, cellule del muscolo e linfociti T. Il processo patologico, nelle sue manifestazioni cliniche, non consente di distinguere le forme avviate da mutazioni genetiche dalle forme non familiari e perciò dette “sporadiche”, per le quali non si conoscono mutazioni. È stato stimato che circa i 2/3 dei casi familiari sono innescati dalle mutazioni di 4 geni, che sono C9ORF72 (chromosome 9 open reading frame 72), SOD1 (Cu/Zn superossido dismutasi 1), FUS/TLS (fused in sarcoma/translocated in liposarcoma), TDP43 (TAR-DNA binding protein 43).

Cinzia Volonté e colleghi ricordano che attualmente non disponiamo di trattamenti efficaci contro la SLA[11] e che un compito centrale nella ricerca di terapie efficaci consiste ancora nell’identificazione di nuove vie di segnalazione, meccanismi molecolari e mediatori cellulari.

I microRNA (miRNA) sono RNA endogeni, conservati e non codificanti che in sede post-trascrizionale regolano l’espressione delle proteine. Prodotti come lunghi trascritti primari, sono trasferiti nel citoplasma ed ulteriormente modificati al fine di ottenere le forme mature dei miRNA, con ciascun passo della sequenza maturativa quale potenziale sede di regolazione.

Sono attualmente note oltre 1000 sequenze di miRNA umani, e più del 20-30% di tutti i geni codificanti proteine umane sono probabilmente controllati da miRNA. Su questa base si è attribuito a queste molecole il profilo funzionale di fini regolatori delle reti genetiche. Come abbiamo già osservato prima, la scoperta della partecipazione alla biogenesi dei miRNA di molecole proteiche nelle quali sono state descritte mutazioni associate a casi di SLA, TDP43 e FUS/TLS, suggerendo la possibilità di un’alterazione della regolazione da miRNA come meccanismo patogenetico di questa malattia, ha notevolmente incentivato ed accresciuto la ricerca su questi piccoli acidi ribonucleici.

Lo scopo principale della rassegna è stato proprio fare il punto delle conoscenze sul ruolo dei miRNA nei meccanismi patogenetici, pertanto, dopo una breve discussione sulla biogenesi e sulla funzione di questi piccoli RNA, si tratta degli effetti della de-regolazione di queste molecole nelle vie cellulari e molecolari che portano alla neuroinfiammazione ed alla neurodegenerazione della SLA.

Nell’ultima parte del lavoro, gli autori hanno considerato tutti quegli studi che hanno fornito un contributo di conoscenza sui meccanismi riguardanti i miRNA che possono avere implicazioni per lo sviluppo di nuovi agenti neuroprotettivi potenzialmente efficaci contro la SLA, e quegli studi che hanno provato a definire nuove terapie molecolari basate sui miRNA.

In conclusione, la lettura dell’articolo è senz’altro utile non solo a quanti sono interessati alla SLA e ai miRNA, ma anche a tutti coloro che, più in generale, seguono gli sviluppi e i progressi della neurobiologia e della neuropatologia molecolare.

 

L’autore della nota ringrazia le professoresse Nicole Cardon e Diane Richmond per le nozioni aggiornate su genetica e neurobiologia della SLA, la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-17 ottobre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] La menzione si basa su uno studio di 10 anni fa: Chio A., et al. Severely increased risk of amyotrophic lateral sclerosis among Italian professional football players. Brain 128: 472, 2005. Cfr. Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), p. 1110, McGrawHill, 2014.

[2] Un addensamento per area geografica drammaticamente elevato di pazienti di SLA è descritto nella penisola giapponese di Kii e nel Guam, dove la SLA è spesso associata a demenza e malattia di Parkinson.

[3] Nelle nostre “Note e Notizie” le recensioni di studi sull’argomento sono numerose; in proposito, si suggerisce agli studenti di scaricarle, stamparle e raccoglierle in un fascicolo che può costituire un utile aggiornamento ad integrazione delle trattazioni che si trovano nei testi adottati per i corsi universitari.

[4] Note e Notizie 06-02-10 Una scoperta che potrebbe incidere sulla cura della SLA.

[5] In passato era denominata Current Drug Targets – CNS & Neurological Disorders. L’editore è Bentham Science Publishers.

[6] Di passaggio ricordiamo che, a quel tempo, il rapporto fra nervo e muscolo non era ancora bene definito: nel 1869 Kühne, nelle sue pionieristiche osservazioni microscopiche della giunzione neuromuscolare, afferma che il nervo non entra mai nel cilindro contrattile; ma molti non vi danno credito e continuano a supporre una continuità fra nervo e muscolo, simile a quelli che i reticolaristi (compreso lo stesso Freud) ipotizzano fra i neuroni del cervello.

[7] Per questi cenni storici si ringrazia la professoressa Monica Lanfredini.

[8] Per questi dati si ringraziano le professoresse Diane Richmond e Nicole Cardon.

[9] In proposito, si ricordano gli studi condotti dal gruppo di Lucia Banci presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, e gli altri lavori su questo argomento da noi recensiti (v. nella sezione “Note e Notizie”).

[10] È suggestivo che VEGF, una citochina implicata nell’angiogenesi e deputata a molte altre funzioni, possa giocare un ruolo come gene di suscettibilità per la SLA.

[11] Se si eccettua il riluzolo, un agente anti-glutammato introdotto da Bensimon e colleghi, che rallenta la progressione della malattia, anche se non sembra in grado di allungare la vita più di tre mesi.